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Oggi si parla dello studio del giapponese, e soprattutto dei possibili sbocchi lavorativi che questa lingua offre, analizzando la situazione lavorativa in Italia. Vi avviso che questo articolo non mira a essere esaustivo, e si basa principalmente sulla mia personale esperienza e sull’esperienza di persone che conosco, vi parlo dunque solo di alcuni settori che conosco abbastanza bene.

Dunque, vi siete iscritti all’università (o a un corso di lingua giapponese), vi siete impegnati e vi siete laureati, magari col massimo dei voti, siete stati in Giappone per un periodo più o meno lungo a seconda delle vostre possibilità, magari avete anche preso un bel N3 o N2 (o perché no, N1) del Japanese Language Proficiency Test. 

Benissimo, avete fatto il vostro dovere. Ora arrivano i guai. Perché quando vi scontrerete col mondo del lavoro, vi renderete conto che poi il giapponese non è che sia proprio la lingua più richiesta al mondo, almeno non quanto sembrasse all’università.

Il giapponese non è il cinese, la “lingua del futuro” come si diceva, senza sbagliare troppo, quando iniziai a studiare, nel lontano 2003, ma non è neanche l’inglese, la lingua di comunicazione mondiale per eccellenza, né tantomeno nessuna delle lingue europee che può essere sfruttata benissimo in Europa e in Italia.  Il giapponese, infatti, è una lingua essenzialmente “di nicchia”, parlato praticamente solo in Giappone (se escludiamo le zone di immigrazione giapponesi, Brasile, Hawaii, Guam ecc.), e, a diffrenza di qualche anno fa, la concorrenza è anche più spietata, visto che sono molte le persone oggi a conoscere la lingua in maniera fluent. Dunque, a meno che non si riesca a lavorare con (o in) questo paese o con il suo popolo, il giapponese non è di base una competenza facilmente spendibile nell’asfittico mercato di lavoro italiano.

Tuttavia esistono settori in cui una buona conoscenza del giapponese può essere utile, se non richiesta. Ricordiamoci, infatti, che i giapponesi non sono pochi, e che molti decidono di viaggiare in Italia (nello specifico, 1.945.427 sono state le presenze giapponesi in Italia nel 2017, fonte ISTAT, report movimento turistico 2017). Nel mercato italiano, uno dei settori in cui può essere maggiormente richiesta la conoscenza di questa lingua è senza dubbio il turismo, che occupa circa due milioni di persone. Soprattutto se si ha la fortuna di vivere in una città d’arte, è un settore da non sottovalutare. 

Ma che lavori si possono fare nel turismo? Vediamo subito.

Uno può essere senz’altro quello di guida turistica, che accompagna persone singole o gruppi di persone nelle visite ad opere d’arte, a musei, a gallerie, a scavi archeologici, illustrandone le attrattive storiche, artistiche, monumentali, paesaggistiche e naturali. Per svolgere questa professione c’è bisogno di un patentino abilitante, che si ottiene attraverso concorso presso la propria provincia di residenza. Solitamente il concorso prevede uno scritto e un orale, con domande su archeologia, storia dell’arte, monumenti ecc relativi alla provincia per cui si vuole ottenere il patentino. Durante l’orale poi ci sarà anche la prova in lingua (o lingue) straniera. Si tratta di un esame particolarmente difficile, ma, almeno per ora, è l’unico modo per ottenere l’abilitazione. Ovviamente, provenire da corsi di studio come Archeologia, Beni Culturali e Arte sicuramente agevola, ma con una buona preparazione linguistica e una forte preparazione in ambito archeologico-culturale, si può fare.

Altra figura importante del settore è quella di accompagnatore turistico, che accompagna gruppi in tour in Italia e/o all’estero sin dal’inizio del viaggio, fornendo assistenza, sbrigando formalità doganali e amministrative di viaggio e provvedendo alla sistemazione negli alberghi prenotati: di fatto si tratta di una figura essenziale, che scorta i gruppi turistici per tutta la durata del loro viaggio, facendo ben attenzione a non sostituirsi alla guida turistica, le cui mansioni sono altre.

Anche questa è una figura molto affascinante, e inoltre, a differenza della guida che di fatto opera solo all’interno della propria provincia, ha la possibilità di viaggiare e girare il mondo. Anche in questo caso c’è bisogno di un patentino che si ottiene sempre mediante concorso, la differenza è che questo patentino è valido in tutta Italia, per cui è possibile fare il concorso in una qualunque provincia italiana. Anche in questo caso si tratta di uno scritto e uno orale, solitamente le materie d’esame sono tecnica turistica, geografia turistica, tecnica di trasporti, legislazione turistica. Anche qui è possibile abilitarsi in una o più lingue straniere.

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Ma il turismo non è solo guide e accompagnatori. Se non si vuole svolgere un ruolo così di “primo piano”, si può sempre operare nelle retrovie, svolgendo comunque compiti interessantissimi. Un possibile sbocco è quello delle agenzie di viaggi e tour operator.

In Italia molte di queste si occupano di Giappone, fornendo sia servizi di incoming (quindi per i giapponesi che vengono in Italia: prenotare alberghi, visite guidate, guide turistiche, organizzare tour, occuparsi dei transfer) che di outgoing (per gli italiani che viaggiano in Giappone, soprattutto fornendo pacchetti turistici). Molte di queste sono giapponesi, le più famose che operano sul suolo italiano sono JTB e H.I.S., ma numerose sono anche le agenzie di viaggi italiane che si occupano di Giappone. 

Mi sono soffermata in primo luogo sul turismo, perché credo sia il settore in cui è più facile riuscire a trovare lavoro con il giapponese, ma spesso uno degli sbocchi per eccellenza per chi fa lingue è quello della traduzione, o dell’interpretariato.

Ovviamente, nel caso di interpreti e traduttori parliamo per la maggior parte dei casi di liberi professionisti (è difficile essere assunti come traduttori in-house in un’azienda o in un’agenzia di traduzioni), e quindi tutto dipende dal giro di clienti che ci si riesce a creare. Bisogna pertanto, prima di tutto, essere bravi manager di sé stessi; la libera professione infatti non è per tutti, bisogna imparare a gestirsi come se fossimo un’azienda, e non tralasciare l’aspetto del marketing.

Buona parte del lavoro di traduttore/interprete (oltre a tradurre, of course) consiste nel cercare sempre nuovi clienti. Molta abilità ci vuole anche nel farsi pagare dai clienti, che non sempre sono precisi e puntuali nei pagamenti, ma si spera sempre che questa sia più un’eccezione che la regola. Comunque gli inizi sono come al solito la parte più diffice.

Come fare per trovare i primi clienti? Come fare a farsi esperienza quando nessuno te la fa fare questa benedetta esperienza? E come lavorare come traduttore e/o interprete col giapponese? Qui non esiste una risposta universale: i lavori di traduzione dal giapponese non sono moltissimi, e vista la difficoltà della lingua non è sempre facile convincere i clienti ad affidare il lavoro a un traduttore con poca esperienza.

Inoltre, bisogna ricordare che in traduzione soprattutto, esistono diversi ambiti in cui specializzarsi. La prima distinzione va fatta tra traduttore tecnico e traduttore editoriale, due settori estremamente diversi, che richiedono competenze diverse. In queste due macro aeree esistono poi ulteriori specializzazioni: un traduttore tecnico può specializzarsi in vari settori come quello medico, legale, meccanico, per fare alcuni esempi, mentre chi traduce in ambito editoriale si può specializzare in ambito di narrativa, saggistica o letteratura per infanzia, per esempio.

Sicuramente, uno degli sbocchi principali per chi studia giapponese è la traduzione di manga o anime (in questo caso si parla più nello specifico di adattamento, o eventualmente sottotitolaggio).

Quello che di solito si consiglia agli aspiranti traduttori è fare un tirocinio (in Italia o, ancora meglio, all’estero) presso un’agenzia di traduzioni, così si sarà seguiti da qualcuno con maggiore esperienza che potrà farci entrare in questo mondo e spiegarci un po’ come funziona. O almeno così si spera. Il mio consiglio, per chi vuole addentrarsi nell’ambito della traduzione, è quello di continuare sempre a studiare, aggiornarsi, crearsi dei settori di specializzazione, trovare un modo per distinguersi dal marasma di traduttori “a buon mercato”. E fare molto marketing di sé stessi. Non ci sono ricette valide per tutti, ognuno trova la propria strada a modo suo.

Il giapponese e le aziende

E per chi non vuole fare il libero professionista? Quali sono le alternative? Guardiamoci in faccia, le aziende che cercano persone che sappiano il giapponese non sono molte in Italia. Bisogna trovare aziende che abbiano dei rapporti commerciali col Giappone, e non è una cosa facile, e provare a farsi assumere nell’ufficio import-export. Il settore dell’alta moda, o del food, insomma tutto quello che caratterizza il “Brand Italia”, il cosiddetto made in Italy, potrebbe costituire un’opportunità per chi conosce bene la lingua e il mercato giapponese.

In Italia esistono anche molte aziende giapponesi che hanno qui una loro sede (aziende come Toyota, Takeda, Bridgestone, JTI, Muji, Uniqlo che ha recentemente aperto a Milano tra le altre) però in questo caso il discorso cambia abbastanza, visto che raramente in queste realtà aziendali si cerca personale che parli giapponese (spesso nemmeno utilizzato a lavoro), ma piuttosto sono richieste tutt’altro tipo di competenze o lauree.

 

 

conclusioni

In questo articolo come dicevo all’inizio propongo una visione ovviamente “parziale”, le cose non sono sempre così nette e definite e ovviamente possono esserci tante altre opportunità in giro per chi è in grado di coglierle.

Quello che mi sento di consigliare, a chi si sta accingendo a studiare il giapponese, specie se parte dall’università, è di ricordarsi che la laurea di per sé non è mai sufficiente, ma costituisce una buona base di partenza: non bisogna mai fermarsi, seguite le vostre inclinazioni e continuate a studiare, approfondire e fare esperienze. Soprattutto, avere l’opportunità di fare un’esperienza di vita all’estero, oltre a migliorarvi come persone, prima ancora di migliorare le vostre competenze linguistiche, sarà sempre valutato positivamente in fase di recruiting, a prescindere se finirete a lavorare col giapponese oppure no.

Mi sono soffermata sulla realtà italiana che è sicuramente quella che conosco meglio, ma ci possono essere tante altre possibilità decidendo di andare a vivere in Giappone, o anche in altri paesi all’estero.In ogni caso, qualunque sia la strada che si intraprende, l’importante è fare le proprie scelte consapevolmente, e proseguire sulla propria strada con passione, impegno, tenacia.

Benissimo, avete fatto il vostro dovere. Ora arrivano i guai. Perché quando vi scontrerete col mondo del lavoro, vi renderete conto che poi il giapponese non è che sia proprio la lingua più richiesta al mondo, almeno non quanto sembrasse all’università

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